Come ogni anno, ed accade drammaticamente da ben diciannove, questo 19 luglio rappresenta il momento d’eccellenza ed anche di immenso dolore, ma al contempo di straordinaria speranza. Oggi, come ieri , è l’anniversario della morte di Paolo Borsellino, uno dei grandi eroi della nostra nazione.
La strage di via d’Amelio fu un attentato di stampo terroristico-mafioso messo in atto il pomeriggio del19 luglio 1992 a Palermo ain cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta. L’attentato segue di due mesi la stragedi Capaci in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia
In ogni angolo d’Italia , e soprattutto nella Sicilia di Paolo Borsellino, si daranno appuntamento le forze sane di una comunità italica, quest’ultima oggi ridotta allo sbando dalle pressioni di un sistema di governo che in ogni atteggiamento, in ogni scelta politica, “violenta”, senza esclusioni di colpi la memoria di Borsellino, quel magistrato che sapeva di morire, ma che non svendette alla paura la sua volontà di essere uomo libero e uomo dello Stato. Stesso Stato, che ieri come oggi, è rappresentato e governato da pezzi deviati, che non fanno altro che far precipitare l’Italia nel Terzo Mondo della legalità. E si fa sempre più pericolosamente incalzante la notizia filtarta, dal palazzo di governo, di metter mano all’eliminazione del 41 bis, il carcero duro per i mafiosi, e si vocifera che questo intento governativo sia determinato per fronteggiare lo straordinario impegno di fondi per garantire l’applicazione di questo dettato normativo.
Già a parlarne fa registrare il secondo attentato, quello più subdolo, alla memoria di Paolo Borsellino e di Giovanni Falcone, i quali con forza e cadendo sotto i colpi feroci dell’antistato, riuscirono a regalare alla nostra nazione un importante deterrente alle attività mafiose. Ed oggi gli stessi eroi siciliani si stanno rivoltando, ma non con grande sorpresa, nelle loro tombe.
Era anni particolari, quelli che si vivevano nella prima metà degli anni novanta. La questione morale in politica era ormai esplosa in maniera clamorosa. Ma contemporaneamente in Sicilia esplodeva un’altra questione , quella dell’aggressione mafiosa allo Stato. Qualche mese dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, esplose Tangentopoli, che vide stendere al tappeto il Pentapartito, quella coalizione di Governo che aveva fatto della corruzione di Stato l’anima vincente, e c’era da contraltare quel Partito Comunista, anacronistico per i suoi valori, ma all’avanguardia nel capire di come si poteva governare senza essere in maggioranza.
Questi due tragici momenti della nostra storia avevano acceso le speranze e gli ideali di una comunità giovanile, ormai narcotizzata da quelle precedenti sul pensiero: “nulla cambierà, adeguati!”. Qualcosa cambiò, tanti si iscrissero a Giurisprudenza per rincorrere il sogno di diventare un magistrato e tanti entrarono da giovanissimi in politica, perché eravamo all’alba della Primavera Italiana. E dopo quasi due decadi la speranza di quei ragazzi che volevano emulare Borsellino e Falcone è tramontata al cospetto del più grande imbonitore della nostra storia che gonfiandosi il petto ha ritenuto il suo stalliere, Vittorio Mangano, un eroe nazionale, ed ha fatto precipitare i sogni di un riscatto morale di un’Italia sempre piegata su stessa e che, clamorosamente, non ha la capacità di rialzarsi. In Spagna e Francia, nazioni alle quali non abbiamo nulla ad invidiare, la comunità, il popolo non avrebbe mai accettato simili violenze. Ed invece noi Paese di santi navigatori e poeti siamo ancora alle prese con le uscite e le elucubrazioni del signor B.
Sotto al Vesuvio, non c’è fermento, nulla si muove in questi giorni. Nonostante intere comunità giovanili, in particolari quelle di Destra, in tutte le campagne elettorali si riempiono la bocca di questo immenso magistrato, perito sul campo della lotta alla mafia. Ma d’altronde cosa ci potevano aspettare da questa comunità giovanile inerte a commemorare un loro grande esempio? I rappresentanti di questa comunità giovanile siedono nei consigli comunali, provinciali e regionali ed hanno fatto delle contiguità camorrisitiche il loro motore di sviluppo della propria economia personale e politica.
“La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità..” Paolo Borsellino
Il direttore: Gaetano Busiello