Perdere una cosa a cui ci si è legati dalla nascita. Una sensazione indescrivibile per ogni essere umano al solo pensiero. Dolore e rabbia. Paura e solitudine.
Aveva 20 anni quando Wolfgang Fasser perse la vista per una malattia ereditaria. Oggi ne ha 57 e ha imparato a dare luce oltre il suo buio. E’ fisioterapista e musicoterapeuta. Con il suo impegno, la sua costanza e il suo amore aiuta i piccoli con disabilità o con disturbi del comportamento. Li porta a spasso nei boschi dell’ alto Cosentino in Toscana, dove si è trasferito dalla Svizzera. Ma lo fa di notte. Quando è più facile ascoltare la natura, senza vederla.
Ama affermare Fasser: “Siamo abituati ad affidarci troppo alla vista, ma nel bosco, di notte, ti metti in ascolto e impari a usare altri sensi, spesso poco utilizzati. L’ascolto dei paesaggi sonori ha un impatto importante soprattutto per i pazienti che soffrono di autismo e nei piccoli iperattivi: li aiuta a riprendere contatto con se stessi”.
Oltre la natura, il fisioterapista usa molti strumenti musicali, da quelli più comuni a quelli più rari, come ad esempio il gong, il balano africano o il lettino sonoro. Ogni strumento ha proprie caratteristiche associate alla riabilitazione di specifici pazienti. “Il lettino sonoro, sul quale i pazienti possono sedersi oppure sdraiarsi, si presta bene per la stimolazione audio-vibratoria di bambini con difficoltà di ascolto e di linguaggio, con disfunzioni sensoriali o motorie, oppure con disturbi di percezione”.
La sua formazione parte in Svizzera dove si è laureato in fisioterapia. Trasferitosi in Toscana ha studiato musicoterapia e si è diplomato alla scuola quadriennale di Assisi.
Fasser porta il suo dono anche in Africa, dove durante l’inverno si trasferisce per due mesi aiutando molti bambini e adulti. Un lavoro senza lucro. Solo tanta passione e amore per chi ha più bisogno. Un lavoro seguito anche dal regista Nicola Bellucci che ne ha poi creato un documentario, Il giardino dei suoni.
Il suo “limite” l’ha portato oltre ogni confine e, come dice lui stesso, “è proprio la mia cecità che aiuta chi ha una disabilità a non sentirsi inferiore e lo incoraggia a superare le sue stesse difficoltà. Come terapeuta cerco di ascoltare ogni cosa di cui non conosco il significato e cerco di aiutare i miei pazienti a essere se stessi, per godere la vita con ogni cellula del loro corpo”.
Miriam De Vita