Roma. Teatro dell’Orologio, fino a domani “Marylin. Gli ultimi tre giorni”

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Roma. – Marilyn Monroe. La più audace e bella attrice di tutti i tempi. La più sensibile. La più sola. Chi è stata e come ha vissuto i suoi ultimi tre giorni? Elisabetta Villaggio con i testi e Michele Di Francesco con l’adattemento e la regia mettono in scena fino a domenica 9 giugno al Teatro Dell’Orologio di Roma, domande e riflessioni di tutti coloro che hanno amato e odiato la dolce Marilyn.

4 agosto 1962. Si spegne la diva. La sua luce mai affievolita arriva fino al palcoscenico. La sua morte chiede spiegazioni. Chi ha ucciso Marilyn Monroe? Da quella notte tutto viene messo in discussione.

Ogni personaggio in scena, dallo psichiatra che la teneva in cura portato in scena da un convincente Alberto Mosca, alla governante, la brava Federica Lenzi, è una chiave di lettura ben precisa, attraverso la quale si giunge alla verità. Ogni personaggio è smaniosamente preciso nei gesti e nelle parole. Una precisione che spicca nell’interpretazione di Matteo Milani che interpreta il sergente Clemmons a quella di Carolina Izzo nei panni dell’adetto stampa di Marilyn. Tutto riporta a quella notte sospesa nel tempo. Dai gesti ai passi. Passi incerti e inquisitori che diventano incalzanti fino alla corsa verso la verità. In scena si vede ciò che in molti fin da quella notte hanno pensato. Marilyn è stata uccisa perché sapeva troppo. Se questo è ciò che in molti ancora pensano, è su un altro punto che vogliamo soffermarci. Ovvero sul disperato senso di abbandono e solitudine in cui viveva una delle donne più affascinanti dello spettacolo. Abbandonata al suo amore per i fratelli Kennedy. Bob, portato in scena da un convincente Marco Martino, che la seduce e poi l’abbandona. E’ qui che, a nostro avviso, l’opera teatrale dà il suo contributo senza pari. Nei dossier tutto ciò è quasi dato per scontato. In scena non è cosi. L’attrice protagonista, Vita Rosa Pugliese, riesce a trasmettere la sofferenza che già fu della Diva. Lo fa naturalmente. Piangendo, ridendo, cantando. In ogni gesto sembra dire al pubblico: “Soffro di un amore mancato, mi sento sola”. Lo annuncia in sordina bevendo dalla coppa di quella che fu la vita di Marilyn.

Forse le cose sono andate diversamente. Forse così. Forse realmente Marilyn ha detto ogni cosa che scrive Elisabetta Villaggio. Forse no. Resta in bocca l’amaro e il dolce. L’amaro della perdita. Il dolce del teatro di Michele Di Francesco che prova a raccontare la verità.
L’intera macchina teatrale sembra muoversi alla perferzione. La scenografia di Luciano Nestola che si impone alla perfezione. E tra le mille sfumature di cui si compone, dagli abiti alle scarpe, al telefono anni sessanta alle riviste, ce n’è una in particolare: lo specchio in cui Merilyn amava o odiava capirsi. La regia cura i dettagli e lo fa con maniacale precisione. Dai personaggi che sono in scena sempre con la Diva a quelli che danno il loro prezioso contributo come Andrea Carpiceci, nei panni di Peter Lawford e Claudio Boschi in quelli del sergente Iannone.
Se si parla di Marilyn non possiamo non pensare al suo fascino che la compagnia, composta da giovani attori talentuosi, sottolinea con le acconciature di Federica Guglielmo e i costumi di Raffaella Rame. Uno spettacolo da vedere per fare un salto negli anni Sessanta, per emozionarsi, per sapere, per conoscere.

a cura di Miriam De Vita

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