I Sonatin for a jazz funeral rinascono nel 2012 dalle parti del Vesuvio. Sono un quartetto
alternative attraversato dalle influenze più disparate (dal jazz al funky, dal progressive
all’indie). Non amano etichette, anche se quella che più gli si confà è la definizione di art
rock band.
A comporre la formazione Luigi Impagliazzo (Lead voice, Second guitar, Flute), Maurizio Milano (Drums, Synth), Gen Cotena (Lead guitar) e Pierluigi Patitucci (Bass, voice).
I quattro hanno all’attivo un ep di cinque brani, Monochrome SUNSET; un video, Rise up,
girato da Andrea Campajola e un album – l’omonimo Sonatin for a jazz funeral – prodotto
da Prove di Rock e dalla Tippin’ The Velvet di Gianluigi Manzo, presentato lo scorso 28
maggio alla Libreria Larue di Napoli e disponibile anche nei principali canali di distribuzione
digitale (iTunes, GooglePlay, Spotify, Deezer e altri).
Quello dei Sonatin Fajf è un sound poliedrico, frutto delle molteplici inclinazioni, impressioni,
derivazioni che compongono la loro musica. Nei brani, chitarre spigolose flirtano con il
suono del corno mediorientale, il math rock più rigoroso incontra overture eroiche e la
scala pentatonica giapponese insegue acrobazie rap.
Ascoltare i Sonatin for a jazz funeral è intraprendere un viaggio intorno al mondo. L’album è
un audace bignami in cui scenari musicali diversissimi incontrano il cinema giapponese, gli
haiku di Basho, Rimbaud e i poeti maledetti e poi, Sartre, Coleridge, Garcia Lorca.
Del resto, dietro la scelta del nome della band c’è una vera e propria dichiarazione
d’intenti. Esso è figlio dell’unione intima tra il mondo del regista giapponese “Beat” Takeshi
Kitano e la musica nelle sue diverse forme. “In parte – raccontano – esso prende ispirazione
da Sonatine, un film del regista giapponese Kitano strutturato in tre parti proprio come la
forma compositiva della sonatina, mentre “Jazz funeral” si riferisce al modo in cui si
celebrano i funerali a New Orleans, dove la scomparsa è commemorata non con una
marcia funebre, bensì in maniera allegra e festosa, perché si pensa che l’anima del
defunto andrà in un posto migliore”.
SONATIN FOR A JAZZ FUNERAL~LINE UP
▪ Luigi Impagliazzo – Lead voice, Second guitar, Flute
▪ Pierluigi Patitucci – Bass, voice
▪ Maurizio Milano – Drums an Synth
▪ Gen Cotena – Lead guitar
Di loro è stato detto:
“I Sonatin for a Jazz Funeral, quartetto di ventenni napoletani che, pur bazzicando lidi
sonori diversi, riesce a ricreare atmosfere in perfetta sintonia con quelle dei grandi
sperimentatori britannici di una volta. Giusto per capirci: con la loro terra d’origine e le
relative radici musicali hanno poco a che spartire. La loro è Musica per palati fini, di difficile
collocazione secondo le categorie del già sentito” Sole24Ore.
“Il sound dei Sonatin gioca su chitarre minimali e nervose, debitrici alla tensione elettrica
della scena post, alle armonie di certo rock che affonda le radici nella ricerca dei primi
velvet underground, alle derive psichedeliche dei television oltre che allo shoegaze più
dreamy e alle scosse nervose del post punk. La sessione ritmica, fantasiosa e dal sound
cristallino cerca una propria indipendenza dal classico ruolo strettamente percussivo per
contribuire a creare scenari a tratti quasi visivi. A completare la proposta il cantato si
inserisce nella migliore tradizione della psichedelia (da Alan Sorrenti ai Pink Floyd di Waters,
fino a lambire terreni scoperti da Buckley padre) pur rimanendo ancorata ad una lettura
potente e diretta dei testi; dedicati questi a tematiche quali l’alienazione, la fuga e la follia.
Il tutto frullato in un concentrato che cerca di esplorare la carcassa della forma canzone e
tirarne fuori nuova linfa” Tourbus.
“Il disco è carico della storia dei nostri tempi; è bello perché allarga lo sguardo su una
realtà critica e difficile, è carico di una passione anche (perché no) politica che lo rende
strumento di pensiero e riflessione. Amari, amarissimi, i testi rigorosamente in inglese, soffusi
però di un’ansia di vita e ribellione che innescano qualcosa dentro” Out Fanzine.
“C’è il sentore che questo gruppo di musicisti campani non vuole epiteti, pretende suono,
tecnica, sperimentazione e innovazione come frecce al proprio arco. Il loro modo di fare
musica risulta colto, s’incappa in cambiamenti di ritmo continui non solo tra un brano e
l’altro ma anche all’interno della stessa traccia” DemonCleanerZine
“(Nell’album, omonimo, dei Sonatin for a jazz funeral, ndr) ci sono echi dei Phoenix, dei
Radiohead, ma a scavare bene e senza voler bestemmiare, ci trovi anche molto Genesis
(“Erostratus”)”. Carlo Pecoraro, la Città di Salerno
Redazione Musica