Cercola (Na) – “La scelta dello strumento urbanistico mette in luce la volontà del Comune di porre separatamente le destinazioni correlate a un utilizzo precipuo, per lo svolgimento di attività rivolte al soddisfacimento di bisogni essenziali della comunità, normalmente anche se non esclusivamente disimpegnate da soggetti pubblici o soggetti al controllo pubblico (servizi postali e telefonici, servizi comunali della protezione civile, servizi finanziari, giudiziari, militari e della pubblica sicurezza: sottoclasse 5L, cit.). Rispetto ad essi, le attività professionali (studi professionali e sedi di società, istituti, fondazioni e simili: sottoclasse 6.b, cit.) denotano piuttosto lo svolgimento di attività di natura prettamente privata, con o senza scopo di lucro, attraverso l’offerta di beni o servizi da parte di società commerciali o di professionisti, ovvero mediante l’operato di istituti e fondazioni. In ragione di ciò non è predicabile che si tratterebbe in ogni caso di attività rivolte ad un fine pubblicistico, essendo le stesse ben individuate e scisse, svolte da soggetti non equiparabili tra di loro e rivolte al soddisfacimento di distinti bisogni della collettività.” Ecco uno stralcio della sentenza N. 06432 del 28 dicembre 2020 del Tar Campania, sezione Napoli, che ha chiarito inequivocabilmente il principio che ha animato il legislatore comunale nel momento in cui ha pensato per il Comune di Cercola, attraverso il vigente Piano Regolatore Generale, delle aree cosiddette ad interesse pubblico che avrebbero fornito servizi pubblici aggiuntivi ai quartieri asserviti, invece di creare centri commerciali al centro della città o altro cemento per bar ristoranti o negozi (terziario commerciale): inizialmente le concessioni edilizie furono rilasciate durante l’amministrazione del sindaco Giuseppe Gallo, poi dopo un intervallo di governo del centrodestra, furono di nuovo rilasciate sotto il governo comunale di Vincenzo Fiengo, figlio putativo di Gallo.
A ricorrere al Tar Campania è stata società la Violante Costruzioni s.r.l. contro il comune di Cercola, relativamente all’emissione di due atti che hanno negato a tale società una variante al Permesso di Costruzione, ovvero il cambio di destinazione uso , rigettando la S.C.I.A. per uno dei megafabbricati (l’altra è la piscina, annesso megabar che è stato oggeto anche di interrogazioni parlamentari e di un servizio di Report di Rai Tre) costruiti su via Europa , l’unica via di fuga agevole in caso di eruzione del Vesuvio insistente su quella zona. Inizialmente la Violante Costruzioni s.r.l. presentò le destinazioni nell’art. 5 cat. 5L delle delle norme tecniche di attuazione al vigente Piano Regolatore Generale (“Attività amministrative: servizi postali e telefonici, servizi comunali e della protezione civile, servizi finanziari, giudiziari, militari e per la pubblica sicurezza”). Poi, imitando un modo di fare tutto cercolese, la Violante Costruzioni chiede il cambio di destinazioni d’uso con una variante al PDC richiedendo di avviare le attività per “Attività professionali: studi professionali e sedi di società, istituti, fondazioni e simili” (6.b). Il comune . attraverso l’ufficio urbanistica negò tale rischiesta già nel dicembre 2018, ma il provvedimento definitivo di rigetto del cambio di destinazione è arrivato il 19 dicembre 2019, giusto 48 ore dopo la messa in onda del servizio di Report su Rai Tre, che aveva scoperchiato in visione nazionale la presunta speculazione edilizia di tipo terziario commerciale che si svelava dietro questi permessi a costruire.
Oggi questa sentenza fa storia: il caso Violante Costruzioni, ovvero si parte con una richiesta di permesso a costruire per immobili da destinare ad interesse pubblico, in aree C1, C3, C4 e C4, poi con una semplice S.C.I.A e D.I.A. si propone la variante al PDC per una destinazione non di interesse pubblico, spesso virando sul commerciale puro, è tipico del modus operandi dell’amministrazione comunale di Cercola. I casi eclantanti e storici sono il fabbricato inistente al centro della Lottizzazione Carafa, con tanto di Bar, Riostoranti, Paninoteche e panifici in bella mostra, senza mostrare un nulla di intervento pubblico. Per alcuni immobili, alla luce di questa sentenza, dichiarati abusivi di fatto, la proprietà è riconducubile direttamente a pezzi importanti della Giunta Fiengo. Ad oggi, a quasi tre mesi dalla sentenza che dichiara , di fatto abusivi, gran parte degli interventi edilizi nelle aree ad interesse pubblico nulla si è mosso dal sindaco Fiengo, dall’assessore ai Lavori Pubblici Vincenzo Barone, dal Comandante della polizia Municipale e dal Capo dell’Ufficio Tecnico Comunale. A quando gli interventi amministrativi di conseguenze imposti senza se e senza ma dai giudici amministrativi? Ancora a pensare al PUC in divenire, dopo che è stata fatta questa scelta scellerata del rilascio inquietante a pioggia di tutti i permessi nelle aree ad interesse pubblico? Ad esclusione di due interventi nella Lottizzazione Carafa, costruzione di una scuola e di un laboratorio medico ( che è stato molto utile in questa pandemia per i tamponi) tutti gli interventi potrebbe subire un epilogo nefasto.
Fa , invece, sorridere, l’ambiguità e l’opacità dei vertici amministreativi comunali, quando a stretto giro di tempo il 19 dicembre 2019 fanno bocciare le destinazioni terziarie nel fabbricato di via Europa, quando, invece, a gennaio 2020 la Giunta Municipale autorizza la mega speculazione edilizia nella cittadella sportiva, autorizzando in area ad esclusivo interesse pubblico la costruzione di mega bar con 200 posti a sedere, albergo per dieci camere doppie e solarium con piscina balneare capace di contenere fino a 150 utenti.
Tempi duri per l’amministrazione Fiengo, diverse inchieste giusdiziarie potrebbero chiarire il vero volto di chi governa la città.
il direttore Gaetano Busiello
Pubblicato il 28/12/2020
N. 06432/2020 REG.PROV.COLL.
N. 01232/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1232 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Violante Costruzioni s.r.l., con sede in Casoria alla via D. Colasanto n. 30, in persona del legale rappresentante amministratore unico pro tempore sig. Rosario Violante, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Palma e Simona Scatola, con domicilio eletto presso il loro studio in Napoli alla Via G. G. Orsini n. 30 e domicili digitali come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Cercola, in persona del legale rappresentante Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Tretola, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli al Centro Direzionale, Is. G2, p. 5, int. 34 e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
(quanto al ricorso introduttivo)
della nota inoltrata in data 12/2/2018 a mezzo pec dall’Ufficio Relazioni con il Pubblico per il tramite del Responsabile del Servizio, avente ad oggetto: “Avvio procedimento di diniego avverso richiesta variante PDC . 17 del 17.07.2017 per cambio d’uso da cat. 5/l ad uffici amministrativi privati (art. 10 bis della Legge 241/90). Rif. Pratica ed n. 25/2018”;
della convenzione ove e per quanto lesiva, nella parte in cui l’art. 2 dovesse essere interpretato con riferimento alle categorie contenute nelle NTA in modo tassativo e non in conformità all’art. 23 del TUE;
di ogni altro atto connesso conseguente e presupposto ove e per quanto lesivo degli interessi della società ricorrente;
(quanto ai motivi aggiunti)
della nota rep. n. 19993 del 19/12/2019 avente ad oggetto il diniego definitivo della pratica 25/2018 – cambio di destinazione d’uso al piano secondo dell’edificio A da attività amministrativa cat. 5 ad uffici amministrativi anche ad uso privato, senza modifica delle distribuzioni interne, prospetti, sagoma, volume il tutto come assentiti da PDC 17/2015;
di ogni altro atto connesso conseguente e presupposto ove e per quanto lesivo degli interessi della società ricorrente.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cercola;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore per l’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2020 il dott. Giuseppe Esposito e uditi per le parti gli avvocati Palma e Tretola;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Alla Società ricorrente veniva rilasciato il permesso a costruire n. 17 del 10 luglio 2015 per la costruzione, sul lotto di mq. 9.255 alla Via Europa, <<di n. fabbricati (A e B) per Attrezzature Pubbliche assimilati a Servizi privati ad uso pubblico in zona urbanistica “C1” da destinare a:
Edificio A Attività Amministrative, cat 5L art. 5 Norme Tecniche di Attuazione;
Edificio B Attività Sportive, cat 5I art. 5 Norme Tecniche di Attuazione>>.
Il 5/2/2018 depositava la s.c.i.a. prot. n. 1701 per un cambio di destinazione d’uso, limitatamente al 2° piano dell’edificio “A”, da attività amministrativa (cat. 5L delle NTA) a terziario (cat. 6B, uffici e studi amministrativi ad uso privato).
Con la nota inoltrata in data 12/2/2018 a mezzo pec è stato comunicato il parere contrario dell’Ufficio Urbanistica e il rigetto dell’istanza, considerato quanto previsto dall’art. 2 della convenzione circa “l’impegno irrevocabile per un uso esclusivamente pubblico”, riscontrando “che si richiede un uso, anche in assenza di opere edilizie, che comporta il cambio tra la destinazione di cui alla cat. 5L delle N.T.A. (Attrezzature Pubbliche) alla cat. 6/B (Direzionale Privato)”.
Con il ricorso introduttivo è contestato l’avviso formulato dall’Ufficio, deducendo la violazione dell’art. 97 Cost. e del principio del buon andamento, dell’art. 23-ter del D.P.R. n. 380/01 e dell’art. 2, co. 60, della legge n. 662/96, nonché delle NTA e del PRG, oltre alla violazione degli artt. 3, 7 e 10-bis della legge n. 241/90 e all’eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza di istruttoria e contraddittorietà manifesta.
Il Comune si è costituito in giudizio per resistere.
Con i motivi aggiunti è avversato il definitivo diniego di cui al provvedimento rep. n. 19993 del 19/12/2019, reiterando i motivi.
Il Comune ha prodotto documentazione e le parti hanno depositato memorie.
All’udienza pubblica del 29 settembre 2020 il ricorso è stato assegnato in decisione.
DIRITTO
1. – La questione controversa attiene all’edificio A e al mutamento d’uso richiesto con s.c.i.a. per il secondo piano (composto da 5 locali, sub 9, 10, 11, 12 e 13: cfr. il certificato esibito dal Comune) che, come da titolo edilizio e da allegata convenzione, richiama la cat. 5L delle n.t.a. (“Attività amministrative: servizi postali e telefonici, servizi comunali e della protezione civile, servizi finanziari, giudiziari, militari e per la pubblica sicurezza”).
L’art. 2 della convenzione dispone che:
<<La ditta proprietaria si impegna irrevocabilmente, per se e per i suoi successivi aventi causa, ad attribuire all’area, di cui in premessa e ai manufatti sulla stessa eventualmente consentiti e realizzati, una esclusiva destinazione di uso pubblico, in conformità alle previsioni consentite nelle richiamate N.T.A. del P.R.G. in particolare si prevede:
Edificio A destinato ad Attività Amministrative ( cat 5L art 5 NTA );
Edificio B destinato ad Attività Sportive ( cat 5i art. 5 NTA).
Il Comune, nel recepire e accogliere tale impegno, vincola irrevocabilmente ad esclusivo uso pubblico, per la durata di cui al successivo art. 5, il lotto di pertinenza della ditta proprietaria e ogni eventuale manufatto sulla stessa consentito e realizzato>>.
La richiesta della ricorrente è intesa a mutare la destinazione d’uso, dalla suddetta categoria (5L) alla categoria 6B delle n.t.a., così descritte all’art. 5:
- “Attività amministrative: servizi postali e telefonici, servizi comunali e della protezione civile, servizi finanziari, giudiziari, militari e per la pubblica sicurezza” (5.l, come già detto);
- “Attività professionali: studi professionali e sedi di società, istituti, fondazioni e simili” (6.b).
1.1. Con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti (che possono essere trattati congiuntamente, per l’identità delle censure) si sostiene che:
- è possibile modificare la destinazione d’uso di un immobile con s.c.i.a., qualora siano compatibili le destinazioni, funzionalmente omogenee dal punto di vista urbanistico;
- per l’art. 23-ter del D.P.R. n. 380/01 il cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante comporta il passaggio dall’una all’altra delle cinque categorie indicate, mentre all’interno della stessa categoria le destinazioni d’uso sono urbanisticamente omogenee, in quanto determinano carichi urbanistici sostanzialmente equivalenti;
- prevedendosi una destinazione produttiva e direzionale (articolata in attività direzionali, servizi e strutture specializzate: sedi di enti e società pubblici e privati; studi professionali; cliniche, scuole e centri di formazione), v’è assimilazione tra cat. 5L e cat. 6B delle n.t.a, in quanto sia le attività amministrative che quelle professionali rientrino nella accezione di attività direzionali, come previsto dall’art. 23-ter;
- non è violato l’art. 2 della convenzione (che prevede l’impegno irrevocabile per un uso esclusivamente pubblico), poiché anche la nuova destinazione ha una finalità pubblica, servendo la collettività;
- con la nota impugnata con il ricorso introduttivo si è invertito l’iter procedimentale, procedendo direttamente al rigetto dell’istanza prima di comunicare l’avvio del procedimento di diniego, senza consentire la partecipazione dell’interessato e la presentazione di memorie e documenti;
- difettano l’istruttoria e la motivazione, non avendo il Comune considerato che nelle NTA vi sono elencazioni di massima, mentre occorre riferirsi alle categorie di cui all’art. 23-ter;
- improprio è il riferimento alla presunta violazione dell’art. 2 della convenzione, imposta dall’Amministrazione ex auctoritate e che non è stata oggetto di libera contrattazione tra le parti e impone una destinazione contraria a quanto prescritto dall’art. 23-ter;
- il diniego non reca la compiuta esternazione dei presupposti di fatto e di diritto che hanno determinato la decisione, anche con riferimento alle risultanze dell’istruttoria, occorrendo altresì motivare in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico specifico e concreto che giustifica il diniego e alla sua prevalenza sull’interesse del privato, anche per la tutela del suo legittimo affidamento.
1.2. Ciò posto, va premesso che il ricorso introduttivo è ammissibile (atteso che, ancorché sia comunicato l’avvio del procedimento di diniego, è nel contempo espresso direttamente il rigetto).
Si può invece prescindere dalle altre eccezioni di inammissibilità e irricevibilità sollevate dal Comune (sul rilievo dell’omessa impugnazione delle norme tecniche di attuazione e del P.R.G., del permesso di costruire e della convenzione), dovendo il ricorso introduttivo e motivi aggiunti essere respinti in quanto infondati.
1.2.1. La tesi di parte ricorrente sull’assimilazione della destinazione in atto e di quella desiderata, all’interno della stessa categoria funzionale “produttiva e direzionale” (ex art. 23-ter, co. 1, lett. b), del. D.P.R. n. 380/01), incontra il limite della previsione di cui al periodo finale del co. 3 dell’art. 23-ter cit., a tenore del quale: “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito“.
Nella specie, si è in presenza di una specifica e puntuale previsione del P.R.G., atteso che l’analisi dell’art. 5 delle n.t.a. evidenzia una fondamentale differenziazione tra il novero delle attività ricondotte sotto la destinazione d’uso “Servizi e attrezzature” (classe 5, in cui sono ricomprese, alla sottoclasse 5.l, le attività descritte per la destinazione d’uso prevista dal titolo), rispetto all’altra classe “Terziario” (n. 6, comprendente alla sottoclasse 6.b le attività professionali).
La scelta dello strumento urbanistico mette in luce la volontà del Comune di porre separatamente le destinazioni correlate a un utilizzo precipuo, per lo svolgimento di attività rivolte al soddisfacimento di bisogni essenziali della comunità, normalmente anche se non esclusivamente disimpegnate da soggetti pubblici o soggetti al controllo pubblico (servizi postali e telefonici, servizi comunali della protezione civile, servizi finanziari, giudiziari, militari e della pubblica sicurezza: sottoclasse 5L, cit.).
Rispetto ad essi, le attività professionali (studi professionali e sedi di società, istituti, fondazioni e simili: sottoclasse 6.b, cit.) denotano piuttosto lo svolgimento di attività di natura prettamente privata, con o senza scopo di lucro, attraverso l’offerta di beni o servizi da parte di società commerciali o di professionisti, ovvero mediante l’operato di istituti e fondazioni.
In ragione di ciò non è predicabile che si tratterebbe in ogni caso di attività rivolte ad un fine pubblicistico, essendo le stesse ben individuate e scisse, svolte da soggetti non equiparabili tra di loro e rivolte al soddisfacimento di distinti bisogni della collettività.
Tale distinzione esclude che possa predicarsi l’assimilazione tra le destinazioni d’uso ex art. 23-ter cit., a fronte della espressa previsione dello strumento urbanistico che fa sì che tale omogeneizzazione non operi, giusta la riserva espressamente contenuta al comma 3.
Inoltre, la specifica destinazione d’uso in questione è stata assunta convenzionalmente all’atto della realizzazione dell’intervento, senza che la ricorrente possa fondatamente assumere di essere stata costretta ad accettare una regolamentazione imposta autoritativamente dal Comune.
1.2.2. Le restanti censure vanno disattese.
Quanto al vizio procedimentale, a prescindere dalla natura vincolata della determinazione assunta dal Comune va detto che la presentazione di una s.c.i.a. non ingenera l’obbligo di adottare il preavviso di rigetto, essendo configurabile piuttosto l’esercizio di un potere di controllo suscitato dalla segnalazione del privato, a cui va direttamente manifestato l’esito del riscontro che su di essa è stato effettuato (cfr. TAR Veneto, sez. III, 31/1/2018 n. 95: “La natura giuridica della segnalazione certificata di inizio attività – che non è una vera e propria istanza di parte per l’avvio di un procedimento amministrativo poi conclusosi in forma tacita, bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge – induce ad escludere che l’autorità procedente debba comunicare al segnalante l’avvio del procedimento o il preavviso di rigetto ex art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 prima dell’esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori (cfr. T.A.R. Campania Napoli n. 3896/2017, T.A.R. Catanzaro (Calabria), sez. II, 5 marzo 2015, n. 478, Consiglio di Stato, sez. IV, 19 giugno 2014, n. 3112, 14 aprile 2014, n. 1800 e 25 gennaio 2013, n. 489). Il denunciante la SCIA è titolare di una posizione soggettiva originaria che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge che non ha bisogno di alcun consenso della. P.A. e, pertanto, la segnalazione di inizio attività non instaura alcun procedimento autorizzatorio destinato a culminare in un atto finale di assenso, espresso o tacito, da parte dell’amministrazione. In assenza di procedimento, non c’è spazio per la comunicazione di avvio, per il preavviso di rigetto o per atti sospensivi da parte dell’amministrazione (T.A.R. Bolzano, (Trentino-Alto Adige), sez. I, 04/03/2016, n. 79)”.
Circa la carenza di istruttoria e di motivazione, il ravvisato contrasto con il divieto di mutamento d’uso fissato dal P.R.G., dal titolo e dalla convenzione non esige alcune esternazione delle ragioni di pubblico interesse (che sono in re ipsa nell’esigenza di garantire l’uniforme rispetto delle prescrizioni urbanistiche di carattere generale), né la comparazione con l’interesse del privato, il quale non può vantare alcuna pretesa ad essere beneficiario di una situazione contra legem né addurre la tutela di un affidamento del tutto inesistente nella specie (anche ma non solo in ragione, tra l’altro, della tempestiva risposta fornita alla s.c.i.a.).
Per le motivazioni che precedono il ricorso e i motivi aggiunti vanno dunque respinti.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Condanna la Società ricorrente, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune resistente, liquidate in € 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Anna Pappalardo, Presidente
Giuseppe Esposito, Consigliere, Estensore
Gabriella Caprini, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Giuseppe Esposito | Anna Pappalardo | |
IL SEGRETARIO