Marco Polo (viaggiatore italiano più famoso nel mondo) nel XIII secolo raggiunse la Cina lungo la Via della seta, trasformando la sua avventura in un best seller: Il Milione, dettagliato resoconto del suo viaggio in Asia. Oggi per andare dall’Italia alla Cina bastano poco o più di 10 ore di aereo. Nel Medioevo percorrere la Via della seta (rete di strade che univa il Mediterraneo al Celeste Impero passando per l’Asia centrale) significava viaggiare per mesi o anni, sfidando i predoni e le insidie del clima.
Pochi partivano, ancor meno tornavano. Tra questi vi furono due mercanti veneziani Niccolò e Matteo Polo che nel 1266 raggiunsero la Cina, in quel momento governata da un nipote del condottiero mongolo Gengis Khan, Kublai. Entrarono nelle grazie del sovrano e ottennero un salvacondotto per tutte le terre controllate dai Mongoli che si estendevano dall’Estremo Oriente ai confini dell’Europa. In cambio il Khan cinese pretese che i due mercanti lo mettessero in contatto con il Papa. Più che al ruolo di ambasciatori, i due Polo erano interessati ad un legame commerciale con l’Oriente e si affrettarono (si fa per dire) a tornare a Venezia per poi ripartire per la Cina. Si era ormai nel 1271 e all’impresa si aggiunse il figlio di Niccolò Marco di soli 17 anni.
Un vero colpo di fortuna, perché al giovane Polo dobbiamo il più importante resoconto di viaggio nel Medioevo, vera miniera di informazioni sull’Oriente misterioso: Il Milione.
E di racconti nel Il Milione (dettato da Marco al letterato Rustichello da Pisa mentre si trovavano prigionieri dei genovesi, dopo la battaglia di Curzola del 1298) ce ne sono davvero tanti, se pensiamo che solo il viaggio verso la Cina durò più di tre anni e poi i Polo rimasero in Oriente per altri 17.
La prima tappa dopo la Serenissima fu Acri (in Terrasanta) dove giunsero nell’aprile del 1272 e ottennero dal legato pontificio Tebaldo Visconti un’ampolla di olio del Santo Sepolcro, lettere per Kublai e due frati domenicani come compagni di viaggio. Quindi i Polo si lasciarono l’Occidente alle spalle. Ma già in Siria furono abbandonati dai frati, terrorizzati dalle insidie del viaggio. Così Niccolò, Matteo e Marco avanzarono da soli per non attirare l’attenzione dei predoni, come capitava alle carovane numerose. A piedi, a dorso di cavalli e cammelli acquistati in cammino si inoltrarono nell’Anatolia e giunsero sotto il Monte Ararat in Armenia, dove si diceva si trovasse ancora l’arca di Noè.
In Asia centrale Marco vide per la prima volta il petrolio, il carbon fossile e l’amianto che bloccava l’azione distruttrice del fuoco.
Nell’Asia musulmana il giovane Polo rimase colpito dai riti dei nestoriani (cristiani che non obbedivano al Papa di Roma) e dai seguaci dello zoroastrismo di Persia. Sempre in quella terra si commosse vedendo la presunta tomba dei Re Magi e ha lasciato vivide descrizioni di Mosul, Baghdad, Tabriz e altre decine di luoghi.
L’attraversamento dell’odierno Iran doveva portare i Polo ad Hormuz (presso il Golfo Persico) per proseguire il viaggio via mare. La scoperta che il porto non era in mani mongole li costrinse a continuare via terra attraverso il deserto di Dash-e-Lut, l’Afghanistan e la Valle del Panshir. Poi in 40 giorni superarono la terribile catena montuosa del Pamir per giungere nell’attuale territorio dello Xinjiang, sul confine occidentale dell’odierna Cina. Da quasi tre anni i Polo erano in viaggio. Erano sfuggiti per miracolo ai predoni, avevano resistito a notti gelide e giornate roventi, sopportato sete e fame e una lunga malattia di Marco che li aveva tenuti fermi per mesi in Afghanistan.
Erano ai confini del mondo ma la città di Kublai Cambaluc era ancora lontana. Con la forza della disperazione attraversarono i deserti del Taklamakan e del Gobi, poi (quasi per miracolo) incapparono in una pattuglia della guardia reale mongola. Mostrarono il salvacondotto e furono scortati fino a Shangdu, la favolosa residenza estiva del Khan. Si era ormai nel 1275 e Kublai disperava di rivedere i fratelli Polo. Li accolse con entusiasmo e fu colpito dall’intelligenza e dalla curiosità del figlio di Niccolò.
Marco imparò rapidamente il cinese e subì il fascino di una civiltà che in molti aspetti era superiore a quella europea. Vide per la prima volta la carta e la stampa, i fuochi d’artificio, i fiammiferi e le porcellane. Divenne un uomo a cavallo tra due mondi.
Nonostante il fascino dell’Oriente, i Polo desideravano comunque tornare a godersi le ricchezze accumulate in patria. Così (dopo 17 anni, nel 1292) ottennero il permesso di partire.
Il viaggio questa volta fu in parte via mare, su una flotta di 14 giunche che costeggiarono la Malacca, giunsero a Sumetra per poi toccare i porti dell’India e di Ceylon. Dopo 18 mesi giunsero a Hormuz, per fermarsi più di un anno in Persia e giungere a Costantinopoli, da dove veleggiarono per Venezia nel 1295. Mancavano da casa da 24 anni e da quel momento e fino alla morte nel 1324 Marco non viaggiò più. Lasciò che a muoversi fossero i suoi racconti nel Il Milione.
a cura di Luisa Ramaglia