Erano un rifugio, un posto dove mangiare intorno ad un fuoco e dove preparare strumenti utili alla caccia. All’interno, c’erano gruppi di umani (prima Neanderthal, poi Homo sapiens) che hanno attraversato il vasto territorio terrestre. Ma come vivevano in queste grotte? Eccone, in particolare, alcune situate nel Veneto.
La prima è la Grotta di Fumane, nel comune di Fumane in provincia di Verona: una grotta aperta a 350 metri sul livello del mare nella valle dei Monti Lesini. Fu abitato da 90.000 mila anni fa fino a quando una frana ne ha chiuso l’ingresso (25.000 anni fa), prima dai Neanderthal, poi dagli Homo sapiens. Nel lontano millennio l’ambiente era diverso da quello odierno: durante il periodo di maggiore affluenza umana, i prati alpini si estendevano verso l’alto, mentre i boschi di conifere ricoprivano le zone più basse.
Si poteva trovare la selce nella formazione rocciosa, che veniva utilizzata per fabbricare strumenti e armi da caccia. Negli strati accatastati nella grotta (un grande atrio con tre strette gallerie aperte), gli studiosi hanno trovato tracce di vita umana e cambiamenti climatici. Ha detto Marco Peresani, professore di Archeologia e Antropologia Paleolitica e direttore degli scavi di Fumane:
“Alcune scoperte fatte qui a Fumane sono stati importanti per ricostruire la vita di quei gruppi umani. Per esempio, nei livelli corrispondenti alla frequentazione dei Neanderthal abbiamo trovato molte ossa di uccelli, che erano parte della dieta, ma non solo. Su alcune ossa abbiamo infatti trovato microscopiche tracce lasciate dagli strumenti di pietra impiegati per staccare le penne, che quindi erano usate probabilmente come decorazione.”
Il Cuoléto de Nadale a Zovencedo (provincia di Vicenza) è un piccolo foro che conduce al pendio del Monte degli Spiazzi. Qui è stato scoperto solo uno strato di tracce di Neanderthal risalente a 70.000 anni fa. Gli archeologi hanno mostrato alcune delle ossa appena scoperte: frammenti di ossa lunghe, che sono state prima rotte per estrarre il midollo osseo, e poi usate come “contatori”, ovvero attrezzi per affilare i bordi degli strumenti di selce, che hanno segni caratteristici per questo scopo. Racconta Alessandra Livraghi, dell’Università di Ferrara:
“Quello dell’archeologo è un lavoro di pazienza. Quello che facciamo è grattare piano il sedimento utilizzando una piccola cazzuola o uno specillo, uno strumento chirurgico, in una piccola area delimitata del piano su cui stiamo scavando. Poi aspiriamo o spazzoliamo il sedimento, lo setacciamo, lo laviamo: ciò che resta viene asciugato ed esaminato. Così tra la ghiaia rimasta si individuano anche i più piccoli pezzi lasciati da chi abitava la grotta.”
La Grotta Maggiore di San Bernardino si trova a Mosano (provincia di Vicenza), a circa 130 metri sul livello del mare, sui Colli Berici, dove preistoria e storia si fondono. Le mura che lo chiudevano furono costruite per utilizzare questo luogo come rifugio, luogo frequentato da San Bernardino da Siena: dall’esterno sembra una chiesa costruita nella roccia e all’interno si trova un rilievo della Madonna, testimonianza del culto antico. Ha detto Marco Peresani:
“La grotta era colma di depositi che vennero poi svuotati, per usare il terreno ricco di fosfati e materiale organico.”
Tuttavia, una parte dell’ingresso è stata conservata e gli archeologi hanno scavato diversi livelli lì, trovando tracce dell’esistenza dei Neanderthal.
Aggiunge Peresani:
“Pensiamo che fosse abitata da 200.000 fino a 44.000 anni fa. In alcuni livelli abbiamo per esempio i segni di un’intensificazione della frequentazione neanderthaliana attorno a 140.000 anni fa. Dagli strati ricaviamo anche informazioni sul clima di ogni epoca, per esempio i sedimenti fini trasportati del vento in un ambiente di steppa.”
Nella grotta sono stati trovati strumenti di selce, che però era impossibile trovare in zona: ciò dimostra che i Neanderthal portavano strumenti utili alla sopravvivenza quando viaggiavano e sapevano come gestire correttamente le risorse.
a cura di Luisa Ramaglia