Napoli. – Dopo una tournée di grande successo, che ha toccato le più importanti città italiane, ritorna alla Sala Assoli di Napoli, martedì 14 maggio 2013 alle ore 20.30 (in replica fino a domenica 19) Anna Cappelli, uno studio, di Annibale Ruccello, con Maria Paiato diretta da Pierpaolo Sepe, che per questo spettacolo ha vinto il “Premio MArte Award” alla regia.
Lo spettacolo, prodotto da Fondazione Salerno Contemporanea Teatro Stabile di Innovazione, chiude a Napoli la sua lunga tournèe e la programmazione della Fondazione alla Sala Assoli, così come ne fu spettacolo inaugurale al Teatro Antonio Ghirelli di Salerno.
Un segno di forte connessione tra le città di Salerno e Napoli e un importante riconoscimento per il regista Pierpaolo Sepe, che, anche con questo allestimento, preceduto da diverse creazioni sceniche di successo, ha saputo coniugare ricerca, innovazione e spettacolarità, ottenendo uno straordinario riscontro positivo in tutta Italia.
Anna Cappelli è una storia “piccola”, che ha come protagonista una persona comune, osservata mentre la vita porta verso scelte atroci che potrebbero trasformarla in “mostro”, ma che Ruccello riesce a colmare di pietà: la pietà per i deboli, per i traditi, per i pazzi, per i disperati, per gli emarginati.
E’ una donna che vive in una cittadina di provincia, in una stanza in affitto da una fastidiosa signora “per bene”. Lavora al Comune e s’innamora di un ragioniere che non vuole sposarla, ma vuole vivere con lei. Accetta, ma è emarginata da tutti, e dopo anni di vita comune, lui decide di vendere l’appartamento, cacciarla di casa e trasferirsi in Sicilia. A questo punto scatta in Anna qualcosa che la spinge verso la follia. La sua risposta alla solitudine, dopo l’ennesimo abbandono sarà violentissima e, insieme, teneramente straziante.
“L’intelligenza dell’autore Annibale Ruccello – scrive il regista Pierpaolo Sepe – sta nel nascondere, dietro la follia della normalità, un processo culturale drammatico che ha vissuto il nostro paese: la protagonista del dramma porta in sé la miseria degli anni in cui divenne importante avere piuttosto che essere. Il principio del possesso, che ancora guida le nostre vite, si affermò ingoiando tradizioni culturali nobili e preziose. Fu in quegli anni che Pasolini urlò il dolore di chi avvertiva il pericolo che la sua stessa opera potesse perdere forza poetica e politica a causa di una dispersione drammatica di senso e di una tentazione d’immoralità capitalistica”.
Il delirio naturalistico e minimale di Anna Cappelli, ambientato in una miserabile Italietta degli anni ’60, può sembrare, a una lettura poco attenta, banale e scarsamente dotato di una vena originaria limpida e necessaria. Ma, a uno sguardo più accorto, non sfugge la mostruosa e depravata sottocultura piccolo-borghese, che invade ogni respiro del dramma, incarnandosi in una donnina in apparenza docile e insignificante.
E’ come trovarsi al cospetto di un noir, in cui l’assassino è l’affermarsi di principi capaci di alterare le nostre nature, le nostre coscienze, le nostre azioni, i nostri destini e trasformarci in esseri immondi.
Redazione Cultura