Quando nel 1996 i talebani conquistarono Kabul, musica e film furono banditi dal paese, per far arrivare il messaggio appiccavano falò bruciando pubblicamente i materiali per la proiezione di film e ricoprendo i pali con nastri adesivi strappati da cassette distrutte.
Fu trasformato in un paese a cui venne impedito di ascoltare musica, guardare film, privandolo della propria immaginazione e in cui gli unici suoni che riecheggiavano nell’aria erano gli spari di arma da fuoco o il rombo delle moto che controllavano i luoghi, in cui alle donne era impedito di uscire liberamente da sole, anche solo per prendere una boccata d’aria.
Se solo lo provassimo ad immaginare, apparirebbe come un posto nel mondo privo di anima, di gioia e di futuro in cui l’unica emozione che si prova è la paura e l’unico sentimento che si percepisce è la rabbia per essere toccata a loro, la sorte di essere nati nella parte del mondo dimenticata e ignorata.
A Kabul tutto ciò sembrava appartenere a un ricordo passato, perché fino a qualche giorno fa lì esistevano le scuole e le donne erano riuscite a conquistarsi il diritto di istruirsi e di lavorare per rendersi indipendenti. Un diritto sudato, un sogno diventato realtà e che è svanito in così poco tempo.
Oggi le ragazze afgane soprattutto quelle nate nel 2001 e che quindi non hanno vissuto l’occupazione dei talebani in Afghanistan, che nel corso della loro esistenza sono andate a scuola, sognando una vita migliore; una mattina si sono svegliate, hanno dovuto nascondere i libri e i diplomi, comprare il burqa e cancellare chi erano state fino alla sera prima.
Di Claudia Esposito